Colli Tortonesi Timorasso: è l’ora della Val Borbera e di Terre di Libarna

Walter Massa e il consorzio benedicono il fermento creato da nuovi vignaioli, capitanati da Ezio Poggio. Tra loro il cantautore degli ex-otago, maurizio carucci

DERNICE (AL) – Fossimo su un campo di calcio, saremmo già a metà dell’opera. In panchina Walter Massa. Allenatore d’esperienza. A Ezio Poggio la fascia da capitano. Sinonimo di fedeltà pioneristica ai colori. Col numero 10 Maurizio Carucci. L’artista e uomo immagine. Dopo aver conquistato il mondo col Timorasso, il Basso Piemonte si prepara a sfornare un nuovo fenomeno, chiamato Val Borbera. La cantera è sempre la stessa. Sulle carte ufficiali figura come Terre di Libarna, dal 2011 sottozona della Doc Colli Tortonesi, assieme alla più nota Monleale, caput mundi del movimento tornato alle origini col nome Derthona (antico nome di Tortona).

Il “feudo” del vignaiolo Walter Massa è pronto a raccontarsi in una veste più ampia e con nuovi attori, molti dei quali giovani. Ne è un esempio Carucci, front man degli Ex-Otago “ma ancor prima agricoltore, tornato alle origini per fare vino” con Cascina Barbàn. O ancora Nebraie, la cantina di Andrea Tacchella.

All’appuntamento con lo spin-off dei Colli Tortonesi non vuole mancare la cooperativa Vallenostra, resa nota da Roberto Grattone più per il formaggio Montebore che per il vino. Altra realtà consolidata della valle è l’Azienda agricola di Gianluigi Mignacco, oltre alla cantina simbolo del territorio, la Vinicola Ezio Poggio.

Del resto, la sottozona ha tipicità del tutto esclusive, consegnate al calice da una valle selvaggia, che deve il nome al torrente Borbera, affluente dello Scrivia. Siamo nella parte meridionale della Denominazione. Sempre in provincia di Alessandria. Ma al confine estremo con la Liguria. In piena area appenninica.

Venerdì 15 novembre 2019 il primo ritrovo ufficiale del gruppo di vignaioli, a Dernice (AL). Tutti in un luogo simbolo: la Foresteria La Merlina, ristorante tipico e albergo cult gestito dai coniugi Luciana e Marco Pietranera, da cui si gode di una vista mozzafiato, immersi nella natura, tra daini, cerbiatti e lupi.

“I vini qui sentono il mare, ma ancor più la montagna – commenta Ezio Poggio, primo a credere nella Val Borbera con la sua cantina -. Il valore aggiunto della sottozona sono le condizioni microclimatiche, perfette per produrre spumanti, ma anche vini longevi, in linea col resto dei Colli Tortonesi”.

La differenza – continua Poggio, che a dicembre presenterà il suo primo Metodo Classico da uve Timorasso – risiede nei ph più bassi, condizione ottima per la spumantizzazione. I vigneti si trovano dai 400 ai 600 metri. La vendemmia in Val Borbera inizia circa un mese dopo rispetto al resto della Doc”.

Ci sono venti chilometri, in linea d’aria, tra la cantina di Walter Massa, a Monleale, e quella di Ezio Poggio, a Vignole Borbera. A dividerle, appunto, l’Appennino su cui insistono le Terre di Libarna. Qui i vini risultano meno alcolici. Nella maggior parte dei casi, meno strutturati. Ma eleganti e dalla beva più agile e profonda, balsamica.

“Con i cambiamenti climatici in corso – sottolinea Poggio – la Val Borbera si è dimostrata meno soggetta ai condizionamento delle estati torride. Inoltre beneficiamo delle piogge, che qui cadono con la giusta copiosità”.

Oltre a Vignole Borbera, i Comuni interessati sono Borghetto di Borbera, Rocchetta Ligure, Cantalupo Ligure, Roccaforte Ligure, Cabella Ligure, Albera Ligure, Mongiardino Ligure, Grondona, Stazzano, Carrega Ligure, Dernice e la sponda destra dello Scrivia, ad Arquata Scrivia.

“Per fortuna – commenta Walter Massa – in Val Borbera c’è un bel movimento e non posso che complimentarmi con chi sta contribuendo a far sentire la Val Borbera nel vino. Questa, secondo me, è la valle più bella che c’è in provincia di Alessandria. Ci appartiene ed è giusto che dica in maniera forte che c’è”.

“Oggi – aggiunge Massa – il sistema migliore per fare promozione del turismo è prendere una bottiglia, metterci sopra un’etichetta e farle fare il giro del mondo. Se nella bottiglia c’è un grande prodotto, ottenuto secondo natura e, come nel caso della Val Borbera, grazie a un’uva locale come il Timorasso, le persone arrivano”.

Oggi l’Italia non è più Chianti, Valpolicella, Collio e Langhe, ma va dalla Valtellina fino a Pantelleria e dalla Sardegna fino al Carso. In questo territorio non ci manca niente, né sotto il profilo gastronomico, né paesaggistico, né ambientale. Abbiamo queste uve che parlano in dialetto: ascoltiamole”.

Secondo Massa, la Val Bolbera ha tutte le chance per farsi conoscere – e riconoscere – per i suoi spumanti: “Finché campo, non farò mai una bollicina a Tortona: non ho il mesoclima per fare spumante. I grandi vignaioli di Borgogna, che coltivano Chardonnay e Pinot Nero, non si sognano di imitare i colleghi che fanno Champagne”.

Da Beaune a Eppernay ci sono circa 120 chilometri. Da Monleale a Vergagni c’è solo una cosa: una galleria nell’Appennino: ma vale i 120 chilometri che dividono la Borgogna classica dalla Champagne”.

“La sottozona Terre di Libarna – conclude Massa – se la può giocare su due fronti: quello degli spumanti e quello del Timorasso. Noi, al di là della galleria, andremo avanti con un grande bianco, sempre da uve Timorasso, e un grande rosso, da uve Barbera”.

Eppure non rinuncia ai rossi, la Val Borbera. Lo dimostra il Mostarino di Cascina Barbàn, vero e proprio asso nella manica di Maurizio Carucci. Stefano Raimondi, ricercatore del Cnr intervenuto alla Foresteria La Merlina, ne tratteggia il (raro) profilo ampelografico: “Si tratta della varietà principe della valle, assieme al Timorasso”.

“È presente anche nel Bobbiese, in Val Trebbia – continua Raimondi – ed è citata storicamente nelle zone alte dell’Oltrepò pavese. Si trovava inoltre a Novi, prima che sparisse la viticoltura. È una varietà strana, che invaia molto tardi e, una volta invaiata, matura presto. In questa zona la maturazione è più regolare, proprio per via del microclima più fresco. E forse, proprio qui, potrà dare risultati più interessanti”.

A credere nelle potenzialità della Val Borbera è anche il Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi. “La sottozona Terre di Libarna – sottolinea il presidente Gian Paolo Repetto (nella foto) – è stata per tanti anni piuttosto ferma, ma ora c’è gran fermento, con nuove realtà che si affacciano alla produzione”.

“Siamo qui per fare squadra e continuare a promuovere tutta la zona, in tutte le particolarità che la arricchiscono ulteriormente”, aggiunge Repetto. Nel frattempo, nel futuro del Consorzio c’è un progetto ambizioso, volto a blindare la Denominazione dal punto di vista qualitativo.

“Con l’approvazione del nome Derthona, ormai in dirittura d’arrivo – annuncia Repetto a WineMag.it – distingueremo l’alta valle dalla basse valle e a dirci che questa è la strada giusta è la stessa Val Borbera, dove sussistono differenze sostanziali tra le due aree”.

“Ogni comune – precisa ancora il presidente del Consorzio Vini Colli Tortonesi – avrà un’altitudine minima in cui si potrà impiantare il Timorasso. L’obiettivo è escludere tutte le zone non vocate, che impattano sull’uva sia per la quantità di acqua che drena verso il fondo, sia per l’umidità mattutina e le gelate. Un lavoro certosino, che ci porterà a definire come altitudine minima dai dai 150 ai 450 metri sul livello del mare per la Doc”.

Pronto anche un piano per governare gli ettari vitati. “I 150 attuali – spiega Repetto – potranno arrivare a un massimo di 350 ettari nel 2030, attraverso bandi d’impianto sostenibili. Avremmo corso un po’ troppo se ci fossimo lasciati condizionare dal grande interesse che c’è in zona. Ci fa piacere, ma dobbiamo essere capaci di non rompere il giocattolo”.

I VINI DELLA SOTTOZONA TERRE DI LIBARNA (VAL BORBERA)

– Mostarino 2018, Cascina Barbàn: 89/100
Il nome della varietà è dovuto alla generosità dell’uva in pressa, tale da regalare tanto “mosto”. La macerazione con le bucce per 40 giorni è l’intervento più “invasivo” (si fa per dire) che i quattro giovani di Barbàn (Maurizio Carucci, la compagna Martina Panarese e gli amici Pietro Ravazzolo e Maria Luz Principe) operano nelle cantine di Figino, recuperate per dar vita al progetto enologico.

“Nessun additivo e zero solforosa aggiunta – spiega il cantautore venuto alla ribalta a Sanremo 2019, con gli Ex-Otago – per noi il vino deve rispecchiare il territorio e non vogliamo aggiungerci nulla”. Mostarino si comporta piuttosto bene nel calice, specie dopo qualche minuto di ossigeno. Belle notte di frutto rosso maturo, al palato e grandissima bevibilità. Una bottiglia che rischia di finire in fretta, senza neppure accorgersene.

– Vino bianco “Bolle in Valle”, Nebraie: 87/100
Si tratta del Timorasso rifermentato dell’Azienda agricola condotta da Andrea Tacchella. Anche in questo caso la lavorazione avviene secondo canoni naturali, senza aggiunta di additivi e solforosa. Il vino, non filtrato, si presenta torbido.

Profuma di fiori freschi, agrumi, pesca e albicocca matura. Al palato gran beva, su note corrispondenti. Altra bottiglia che finisce in fretta, ma per il futuro c’è da aspettarsi una maggiore caratterizzazione del vitigno, al momento “coperto” dalla rifermentazione e dai marcatori dei lieviti.

– Colli Tortonesi Doc Spumante Brut Terre di Libarna 2018 “Lüsarein”, Ezio Poggio: 91/100
È il Martinotti (Charmat) di Ezio Poggio. Non un’etichetta a caso, bensì quella che ha dato avvio alla spumantizzazione in Val Borbera, che si evolverà nel Metodo Classico a partire da dicembre 2019. La vigna si trova a 600 metri sul livello del mare, in una posizione spettacolare dal punto di vista paesaggistico.

Nel calice, fa capire subito di che pasta è fatto, con un perlage fine e persistente. Al naso richiami netti di agrumi, tra la polpa e la buccia d’arancia, impreziositi da sbuffi minerali che ricordano la pietra bagnata.

In bocca gran eleganza: la bollicina si fa piuttosto cremosa e avvolgente: serve ad ammansire una freschezza e una sapidità dirette, tanto da riequilibrare alla perfezione il sorso. Finale di buona persistenza, molto asciutto.

– Vino bianco 2018 “Costa di Cesco”, Vallenostra: 84/100
Uve Timorasso completate da un Cortese che tende a fagocitare la scena. Un vino che tende più a Gavi che a Tortona.

– Colli Tortonesi Doc Timorasso Terre di Libarna 2015 “Archetipo”, Ezio Poggio: 95/100
Giallo paglierino di grande intensità, con riflessi dorati. Naso ampissimo, che tende all’infinito col passare dei minuti. Fa tutto tranne che scomporsi col passare dei minuti, quando qualche grado in più nel calice consente al nettare di esprimersi ancora meglio sul palco, proiettandolo (in senso assoluto) tra i migliori vini bianchi italiani.

Un concerto di agrumi, macchia mediterranea, menta, con rintocchi di idrocarburo netti che portano alla mente il Riesling. Non mancano le spezie, che conferiscono ulteriore balsamicità. Al palato sale e freschezza assoluta. Infinita persistenza. Il campione della serata. Al momento, il pezzo da novanta della Val Borbera e della sottozona Libarna.

– Timorasso 2018 “Pian del tè”, Cascina Barban: 89/100
Ricorda per stile, ovvero la lunga macerazione sulle bucce (ancora una volta 40 giorni), il Timorasso di un altro grande dei Colli Tortonesi, Daniele Ricci. Qui però c’è più frutto e materia e meno ricerca della finezza ossidativa. Ottima freschezza, che disegna i contorni del vitigno e dalla Val Borbera.

Scaldandosi, il vino esprime un sentore netto di liquirizia, che ben si coniuga ai ricordi esotici. Palato corrispondente, largo sul frutto e al contempo tagliente, con bella persistenza su una mineralità iodica e un accenno di idrocarburo.

– Colli Tortonesi Doc Timorasso Terre di Libarna 2018 “Battilana”, Gianluigi Mignacco: 91/100
Vigna a Cantalupo per questo Timorasso che racconta in maniera perfetta, didattica, la Val Borber dei vini fini ed eleganti, con grandissime prospettive di evoluzione. Migliacco, del resto, in un gruppo di giovani può essere considerato a pieno titolo tra i veterani della sottozona Terre di Libarna.

Il nonno era maestro bottaio, tradizione andata perduta in zona, assieme al decadimento della viticoltura. Giallo paglierino alla vista. Agrumi e menta a connotare un naso dritto, diretto, minerale, nonostante la buona presenza di frutto maturo. Un vino che potrebbe definirsi “alpino”, montano, destinato a migliorare ancora in profondità e balsamicità, più che in ampiezza.

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